(Jamma) -Quando spariscono 24.000 aziende in un settore (rilevazione Ufficiale dell’A.D.M.), il segnale di crisi è evidente, e per di più comprensibile anche per i non addetti ai lavori; è quindi corretto riportarlo ed evidenziarlo come significativo dato di una realtà economica che patisce una condizione generale difficile. Non è il dato delle aziende sparite, tuttavia, a descrivere la “portata complessiva” della situazione in cui versa un comparto molto “particolare” come quello del gioco lecito. Tutta l’economia annovera “lutti” di questo genere e di questa portata, e nessuna concreta “reazione” è mai stata censita a livello Governativo per imporre al Paese un modello di inversione di tendenza sull’andamento delle imprese e delle aziende. Anche i provvedimenti più coraggiosi, infatti, si limitano a qualche spicciolo di defiscalizzazione o incentivazione, unitamente ad un “ritocco estetico dell’IRAP”, ovvero “brodini caldi” somministrati a malati gravissimi. Ciò che fa scomparire, oggi, il gioco legale, invece, è la costante evanescenza della differenza tra gioco autorizzato e quindi lecito (ma anche controllato – verificato – censito e tassato) e gioco illegale. Se sparisce questa “diversificazione” il sistema perde le fondamenta, a prescindere dall’auspicato nuovo contesto normativo a cui si chiede “chiarezza”. Se è pacifico che il “distanziometro” sta provocando un incentivo alla scelta di prodotti di gioco /scommesse non autorizzati (e quindi non controllati, non censiti, non tassati), è altresì evidente che è l’assenza di una risposta repressiva concreta contro detti prodotti “alternativi” a velocizzare il declino incessante che il settore sta vivendo. Paradossalmente, infatti, un’eventuale rimozione di tutti i distanziometri vigenti non basterebbe a “far ritornare” gli apparecchi leciti, laddove oramai affiancati o sostituiti da TOTEM o dispositivi illegali. Chi ha vissuto “l’epoca” della Legge n. 425/95 conosce certi meccanismi, ma soprattutto ricorda con quanta rapidità si insinua una credenza quando “porta guadagno rapido, non tassato, non punito”. Il dato più significativo a cui appellarsi, pertanto, non è la contrazione delle imprese del settore, rivelante la dolorosa selezione che in tempi di crisi tutti devono patire. E’ la scomparsa della “base di legittimazione” del sistema, ovvero l’aggettivo “lecito”. Se persino i poliziotti che reagiscono contro un insediamento di scommesse privo di licenza rischiano un addebito di responsabilità civile, è chiaro che “l’assenza di licenza” non è più un ostacolo. La deriva “anarchica” che sta colpendo il “gioco” mina l’esistenza del sistema nazionale, a favore di un “complessivo stato di confusione” in cui due soggetti sono destinati a soccombere: l’operatore che sopporta i costi maggiori (quello autorizzato), e il cittadino (a cui si tolgono le tutele che il gioco legale annovera e potrebbe annoverare in futuro). Le relazioni depositate dall’A.D.M. presso le Commissioni deputate ai pareri sul disegno di legge “Binetti”, vanno pertanto opportunamente lette ed interpretate alla luce delle peculiari conoscenze che “la storia” del settore consegna a noi, analisti professionali del comparto: se il concetto di “illegalità” diventa solo un appellativo “da salotto”, inidoneo a sostenere una risposta sanzionatoria credibile, è il sistema istituzionale di gioco autorizzato a perdere ragione di esistere nel mercato e per il mercato. Nel gioco esiste una sola regola applicabile alla realtà italiana: sul mercato vince sempre il prodotto che provoca più guadagno per chi lo gestisce, tutto il resto prima o poi scompare, ivi compresa quella “forma di illegalità” che dovesse rivelarsi “inadatta” a soddisfare le esigenze dell’utenza, o “troppo esposta” ad una risposta repressiva. avvocato Silvia Taraddei