(Jamma) Politica, Ideologia, populismo e demagogia possono tranquillamente veicolare i messaggi pubblicitari che ritengono più consoni, ma i numeri del gioco lecito restano (purtroppo) solo quelli scolpiti dalle analisi dei Monopoli di Stato, che da dieci anni rappresentano delle evidenza matematiche e industriali puntualmente confermate dalla realtà.
L’Erario “guadagna” dalla raccolta di gioco lecito (e non dalla spesa dei giocatori), e per mantenerla ai livelli di performance che sono “previsti” come essenziali (ovvero irrinunciabili) per le casse statali, occorre rispettare 3 parametri: pressione fiscale al di sotto della soglia di dis-economicità del business, lotta al gioco non autorizzato, uniformità normativa sul Territorio Nazionale per ciò che attiene la distribuzione la possibilità di insediamento terrestre dei prodotti di gioco lecito.
In una parola “fate quello che ritenete opportuno, ma la tassazione eccessiva espelle gli operatori più virtuosi dal circuito industriale, fa espandere il mercato illegale, mentre i distanziometri metrici localmente adottati abbattono la capacità distributiva del gioco legale, che a sua volta si traduce in ulteriore appeal per i prodotti non autorizzati”.
Questa “analisi tecnica”, contestata da tutti gli “ideologhi” del gioco legale come negatività assoluta, annovera, invece, conferme matematiche tanto puntuali da lasciare “basiti”, soprattutto nel “sensibile” segmento delle “slot da bar a vincita limitata”.
Dal 2010 ad oggi la “curva della raccolta” è in ribasso costante, mentre, dal 2010 ad oggi, la “curva della pressione tributaria complessiva” (ovvero aggregata agli oneri industriali imposti, come il ricambio dei software, o la necessità di sfruttamento di diritti assegnati nei bandi) è in salita.
Tale “bilanciamento” ha mantenuto sostanzialmente competitivo il gettito, ma ha “azzerato” la patrimonializzazione delle aziende, abbattendo “il coin – in medio giornaliero delle AWP” dagli oltre 300 euro del 2010, agli attuali 150 (ovvero la soglia virtuale del break even gestionale).
Se a ciò aggiungiamo che l’industria degli apparecchi da gioco è attualmente condannata ad una recessione obbligatoria (tale è l’effetto del divieto di sviluppo sancito dai distanziometri metrici applicati sul 75% del bacino territoriale di riferimento), risulta di elementare comprensione il fenomeno “allarme totem” a Bolzano, l’allarme “centri illegali di scommesse” in tutt’Italia, ma più in generale il dato dei 23 miliardi di euro di raccolta illegale di gioco nel solo 2013.
In questo contesto (che si può “sofisticare” mediaticamente con tutte le sociologie revisioniste di questo mondo, ma che tale resta nei suoi meccanismi aritmetici ben noti alle statali ragionerie), l’aumento del PREU è tecnicamente inidoneo a sortire maggior PREU (tanto nel 2015, quanto negli anni a venire), ed è “matematicamente” foriero di quella perdita erariale aggregata conseguente a meno IRAP, meno IRES, meno IRPEF, meno aziende, più disoccupati, più cassa integrazione, più gioco illegale non tassato.
Aumentare il gettito del gioco lecito, quindi, passa inevitabilmente per percorsi di “aumento” delle possibilità di manovra industriale del settore, attraverso i quali aumentare la raccolta e quindi i tributi.
Una sola considerazione, tuttavia, si impone come “riflessione politica” diretta e “drammatica”. Il gioco lecito ha già un “ruolo” ed una “incidenza generale che non gli compete, in quanto non sta nella fisiologia di una sistema industriale complessivo annoverare un “comparto gioco” che sia così decisivo per le esigenze di cassa dello Stato.
Se la stessa industria del gioco legale “supplica” da tre anni percorsi di “delimitazione al ribasso” del proprio perimetro di azione, indispensabili per allineare le dinamiche aziendali al ridimensionamento che ha caratterizzato il mercato, che senso ha pensare che proprio adesso i “Monopoli di stato” siano caduti in errori di calcolo?
Ovviamente nessuno, e neppure quella UE a cui si vorrebbe mostrare un mezzo miliardo (c.a.) di gettito straordinario “miracolosamente” apparso nei nostri bilanci pubblici ha “l’anello al naso”. L’Europa “ci conosce” talmente bene da aver già adottato la prassi di controllare i documenti di stabilità con le risultanze tecniche degli Organismi ministeriali e di controllo (soprattutto se pubblicamente inserite negli atti delle Commissioni Parlamentari).