(Jamma) – La notizia relativa all’avvio di una indagine epidemiologica (e quindi scientifica) relativamente al fenomeno della dipendenza da gioco patologico è passata “in sordina”, mentre, in realtà, costituisce la “sentenza” tanto attesa dal settore, il verdetto “inappellabile” sull’attuale sistema di gioco (anche illecito, che oramai è “sistema anch’esso, visto il volume d’affari censito di 23 miliardi l’anno). Con il passare delle ore – scrive in un comunicato l’associazione AS.TRO firmato dal vicepresidente Massimiliano Orlandini – lo scopo dell’indagine si è fatto sempre più chiaro, ed è stato possibile comprendere altresì gli “usi” che di essa saranno fatti. Ipotesi A: la portata epidemiologica del G.A.P. (patologia che non può distinguere la sua genesi da gioco legale o da gioco non autorizzato), è tale da confermare (in tutto o in parte poco importa) le “stime” del fenomeno censite negli ambienti “abolizionisti”. In questo caso l’articolo 14 della Legge delega fiscale finirà nel “dimenticatoio” dei “999 giorni” : l’industria del gioco di Stato sarà lasciata “da sola” a convivere con distanziometri e riduzioni di orario di esercizio, e ci si farà “una ragione” di qualche riduzione di gettito erariale (che nell’immediato non sarà drammatica, vista la pervicacia del settore nel reperire postazioni di gioco anche nei deserti urbani “non sensibili”, e quella della popolazione ostinata a frequentarle). Poco importa se ci sarà la implosione del sistema pubblico del gioco controllato, e la virulenza di quello non autorizzato, visto che il problema “politico” slitterà di un anno. Ipotesi B: la portata epidemiologica del G.A.P. sarà calcolata sulla base delle evidenze sanitarie formali, e quindi oggetto di una proiezione che rifletterà, dai 7-800 casi in attuale carico ai SERD/SERT, un “focolaio” di espansione sull’ordine delle 20-30 mila unità in tre-quattro anni. In questo caso, il fenomeno sarà collocato nell’ambito della “gestibilità” sanitaria da parte dei Servizi Regionali e si potrà pensare di “smentire” la tesi abolizionista. In un ottica così “chiara”, infatti, emergerebbe la non indispensabilità di “staccare” la spina all’industria, ma solo la necessità di “lavorare” per la prevenzione e la cura, attraverso informazione – sensibilizzazione – educazione – e qualche risorsa da destinare alle prestazioni sanitarie, presumibilmente ottenibile da un “mirato” inasprimento della pressione fiscale sulle imprese di settore, idoneo a catturare approvazione mediatica. Da un punto di vista “statistico”, le grandi questioni del Paese sono affrontate con approccio prudente, finalizzato a non escludere nessuna ipotesi e a rendere “inclusivi” tutti i contributi di coloro che sono portatori di interessi ma soprattutto consenso elettorale (l’unica vera “fonte occulta” di ricchezza sicura, in quanto garantisce posizioni di privilegio a prova di “taglio di spesa”). Raramente, detto metodo ha “risolto” i problemi, ma le diverse esperienze che lo hanno disatteso (i c.d. Governi tecnici) non hanno raccolto grande entusiasmo da parte di nessuno. L’ipotesi C), quindi, è sempre quella più probabile, in quanto non richiede il fedele perseguimento di scelte politiche dettate dalla semplice necessità di adottarle, consente mediazioni, procrastina scadenze, fa pagare “un po’ a tutti” il costo del mancato decisionismo, ma remunera “molti”, per il mancato decisionismo adottato. Il bello dell’Ipotesi C), infine, è quello di riflettere il “talento politico specifico” di chi la mette in pratica, laddove alla soluzione reperita si possa abbinare anche un positivo giudizio dei “commentatori”. Ciò la rende “per definizione” imprevedibile nei suoi contenuti. In un momento in cui l’onda dell’entusiasmo per le passate elezioni europee pare definitivamente tramontato (o perlomeno compromesso), la possibile esigenza politica di una “soluzione mediatica” si profila come il vero incubo per il settore. L’industria del gioco lecito non è spaventata - da nuove tasse,
- da una razionalizzazione “di sistema” che possa comportare diminuzione della sua dimensione distributiva, a favore di più decoro urbano e meno impatto sui territori;
- da maggiori regole su pubblicità, bilanci, controlli di regolarità di operato,
- da generalizzati cali dei ricavi e aumenti degli oneri. Tutto ciò è stato “proposto” dal settore, che dunque non ne ha paura, in cambio di un riconoscimento istituzionale e politico che consenta di distinguere il gioco d’azzardo illegale da quello lecito e controllato (che anche se non è innocuo “totalmente e per tutti e in qualsiasi momento e luogo”, è governato da regole di gestione del “proprio” impatto, al pari di tutte le industrie).